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Tra distanza critica e diaspora, i ciellini tra politica e potere

Scritto da  Elisabetta Soglio

C’era una volta la «distanza critica». L’aveva definita così, don Luigi Giussani, spiegando quarant’anni fa i rapporti fra i ciellini impegnati in politica e Comunione e Liberazione: «C’è fra noi tutti in quanto Cl, ed i nostri amici impegnati nel Movimento Popolare e nella Dc, un’irrevocabile distanza critica».
Indispensabile perché altrimenti «l’esperienza ecclesiale finirebbe per essere strumentalizzata, e le comunità si trasformerebbero in piedistalli ed in coperture di decisioni e di rischi che invece non possono che essere personali». Diceva così don Giussani, mentre alcuni dei suoi giovani seguaci cominciavano una carriera politica che li avrebbe portati a ricoprire in futuro ruoli di primo piano nazionale. Uno di loro, Roberto Formigoni, ha però lanciato un richiamo rispetto al fatto che «se i cattolici in politica non restano uniti il destino è l’insignificanza»: un richiamo non casuale visto che per le prossime amministrative persone legate a Cl sostengono chi Parisi, chi Sala, chi Passera, lavorando in liste diverse e contrapposte fra loro (anche a Varese è più che probabile che troveremo ciellini posizionati in liste diverse, n.d.r.). Guardando dall’esterno, tuttavia, sembra di capire che questa non compattezza sia in qualche modo anche conseguenza della posizione che don Julián Carrón ha assunto continuando a battere sul tasto della «responsabilità dei singoli» e tenendo il movimento ecclesiale ben al riparo dalle posizioni di partito (e dagli scandali o presunti tali che hanno più o meno coinvolto il mondo di Cl o della Compagnia delle Opere).

L’Azione Cattolica al termine del Concilio Vaticano II aveva parlato di «scelta religiosa»: non un modo per chiamarsi fuori dal mondo ma, al contrario, per distinguere la Chiesa e le associazioni ecclesiali dalla sfera politica e dai partiti perché la Chiesa non può identificarsi con nessun sistema politico. Un profilo che il cardinale Carlo Maria Martini avrebbe ripreso nella lettera pastorale del ‘95, «Ripartiamo da Dio». Le parole di don Carrón oggi sembrano riecheggiare quelle ascoltate e lette allora: ed è un bene che la Chiesa mantenga la sua differenza e che dalla stessa fede possano scaturire diversi orientamenti politici, comunque mirati alla ricerca del bene comune. Se la politica è intesa come servizio e non come ricerca di posizioni e di potere, poco importa che la testimonianza arrivi da un ciellino o da un iscritto di Azione Cattolica. Ciò che conta sono i contenuti di questa testimonianza: è qui che emergono la responsabilità e l’umanità del singolo. È qui che ci si misura (anche) con la propria fede.

*originariamente pubblicato su Il Corriere della Sera, www.corriere.it

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