Elezioni: prima dei programmi, chiarezza su visione e missione
Scritto da Claudio BollentiniNelle elezioni amministrative spesso e volentieri i programmi e i dibattiti tra i contendenti ruotano intorno alle “piccole” questioni, quelle che riguardano la quotidianità spicciola della popolazione alle prese con le criticità che tutti conosciamo, dal traffico, al decoro della città, dalla manutenzione dell’asset pubblico alla sicurezza, dalla viabilità ai parcheggi e così via. E’ comprensibile che sia così, sono argomenti sicuramente degni di attenzione perché avvertiti da chiunque e soprattutto redditizi dal punto di vista dell’immediato calcolo elettorale. Quasi sempre invece, nonostante i buoni propositi e i proclami della vigilia, le grandi questioni vengo tralasciate sullo sfondo, mai interpretate a fondo per davvero, non sembra esistere lungimiranza e visione, nemmeno chiarezza sulla missione di una città, non c’è interesse a volare alto in previsione del futuro. Alla meglio sono propositi che troviamo stampati sui depliant della propaganda elettorale e tutto finisce lì. Sembra che non sia redditizio parlarne. O forse semplicemente non ci sono le competenze per affrontare seriamente certi argomenti. Eppure trattasi di campagne elettorali sostenute da soggetti che sono candidati alla guida di città importanti come Milano o Varese e non di sperduti paesini di provincia. Sindaci amministratori di condominio come ebbe a dire con felice espressione Gabriele Albertini, già sindaco di Milano anni fa. Ma non sempre un amministratore di condominio, ovvero un tutore dell’ordinaria amministrazione, è sufficiente. Specialmente in periodi critici per mille motivi come quello che ci è dato di vivere in questi anni, occorre una classe di amministratori e politici di sostanza e con fare pragmatico in grado non solo di risolvere i problemi contingenti. Direi quasi che ci vogliano persone con un profilo da statista più che da sindaco. A Milano la scelta dei due principali schieramenti è andata verso figure di spessore, manager di successo, direi quasi una scelta di merito, o una vittoria del merito, sulle pretese della politica. Si spera quindi di vedere programmi di profilo elevato. Chiunque vinca, immaginiamo che ragionerà e programmerà con piani alla mano, per processi, con discreta autonomia e sicuramente avendo in mente le questioni alte da affrontare per collocare e mantenere la metropoli lombarda nel novero delle migliori città europee, facendone la chiave di volta del proprio mandato. Una bella novità rispetto a cinque anni fa, quando si contendevano la poltrona la Moratti in declino in una coalizione divisa e un politicante, Pisapia, attento solo a tenere insieme la marmellata della sua coalizione. Con la Moratti a sventolare la bandiera dell’Expo per coprire le magagne e il disarmo e Pisapia ad immaginare improbabili rivoluzioni arancioni, mai ovviamente realizzate, per ripiegare poi, una volta vinto, sulla politica del taglio dei nastri di opere ed iniziative pensate da altri, ovvero dal centrodestra anni prima. E gli effetti li vede chiunque oggi, ammesso che l’osservatore in questione abbia un briciolo di onestà intellettuale. Cinque anni persi. A Varese i candidati sindaco, comunque la si pensi, sono anche qui di buon livello e pescati in gran parte fuori dal recinto dei partiti. Ma la situazione è al momento impalpabile, alcuni candidati importanti, come Paolo Orrigoni per il centrodestra, stanno ancora mettendo a punto il programma, di altri si conosce troppo poco, anche della sinistra che in teoria è partita prima avendo fatto le primarie nel mese di dicembre, si sa poco. La controprova in questo ultimo caso sono i manifesti affissi in città, che parlano di Renzi e dei presunti successi del suo governo, oppure le fotografie del candidato Davide Galimberti con Giuseppe Sala e con lo stesso Renzi. Quasi a voler cercare degli alibi, dei sostegni carismatici per rafforzare una credibilità e una notorietà che sui programmi stenta, non decolla. Ci piacerebbe invece che un candidato sindaco a Varese, con la giusta e solida visione, parlasse del futuro della città non per elencare opere immobiliari da progettare e costruire, strade da asfaltare, squadre di un certo sport da salvare e via discorrendo. Al cittadino varesino interessa oggi conoscere quale missione è stata ideata e prescelta per la città, quale valore questa missione genererà e di conseguenza con quali potenzialità Varese intenda sfruttare al meglio le opportunità di essere baricentro dell’Insubria tra infrastrutture e traffici economici di importanza internazionale. Con rispetto parlando per chi se ne occupa, ma non gliene frega niente a nessuno della destinazione d’uso della Caserma Garibaldi o dell’accesso al Sacro Monte, interessa viceversa sapere di cosa si vivrà in futuro, da cosa dipenderà il benessere del varesino di domani. E’ sparita l’industria, il commercio è asfittico, la cultura è da minimo sindacale, la Varese turistica è una farsa. Una città che inesorabilmente invecchia, invasa da immigrati di basso livello, che vive di rendita da una parte e precarietà dall’altra, non è un gran biglietto da visita da mostrare e non garantisce nulla per il futuro se non declino e povertà. Ed infatti è una città da cui si fugge, la popolazione cala, la denatalità è preoccupante, i nuovi arrivi sono quelli caratteristici di una città dormitorio: frontalieri, immigrati, pendolari con Milano. Le ricette per bloccare l’inerzia, per risorgere non dobbiamo scriverle noi, ma i politici nei loro programmi, programmi che aspettiamo, chi con ansia, chi, ahimè, con rassegnazione.