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Duecento anni fa Varese diventava città

Scritto da  Mauro della Porta Raffo

Nel mese di giugno del 1816, esattamente il giorno 14, un decreto del Governatore della Lombardia riconosceva a Varese il rango di città. Il successivo 6 luglio quel decreto entrava in vigore. Al riguardo ho chiesto alla amicae valentissima storica Ivana Pederzani un primo intervento al fine di inquadrare l’accadimento che la città certamente celebrerà con gioia e particolare articolazione di eventi.

Varese “villa di delizia”: da borgo a città (1816)

di Ivana Pederzani

Antico borgo commerciale dello Stato di Milano famoso per i suoi traffici, i suoi mercati e la sua fiera annuale di bestiame, tra Seicento e Settecento Varese divenne anche ameno luogo di villeggiatura per la nobiltà milanese e non solo da sempre presente in questa zona: i Mozzoni gli Orrigoni, i Dralli, i Frasconi, i Litta- Biumi, i Serbelloni, i Bossi, i De Cristoforis, gli Alemagna, i Menafoglio, i Melzi e i Molinari.

Nel 1756 Nicolò Sormani, dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano, ne aveva parlato come del “vago giardino d’Insubria”.

Nell’età delle riforme di colle in colle, a partire da quello di Biumo Superiore, si venne a sviluppare un’autentica ‘civiltà di villa’, cui si accompagnò la costruzione di un’acropoli di dimore nobiliari, trionfo di un barocchetto leggiadro ma sobrio e senza eccessi.

Dal 1765 una sorta di “minuscola Versallies” crebbe intorno alla corte del duca di Modena il quale aveva ricevuto in feudo la comunità da Maria Teresa d’Austria e la tenne fino alla morte nel 1780, favorendovi tra l’altro l’apertura di un teatro in stretto contatto con la Scala.

Già da qualche tempo l’itinerario minore conosciuto come “giro dei tre laghi” (una direttrice congiungente Menaggio a Porlezza, Lugano e il Verbano) veniva menzionato nelle varie pubblicazioni del tempo quando nel 1794 il Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiore, di Lugano e di Como dell’Amoretti consacrò la fama di Varese e dintorni evidenziandone la felice commistione tra architettura e territorio agricolo, luce e sfondo naturalistico.

Le   fonti ottocentesche confermavano la notorietà del territorio  e la bellezza dei luoghi.

Qui a metà Settecento Maria Teresa aveva compiuto la sua riforma amministrativa e catastale che costituì un momento fondamentale nell’evoluzione costituzionale del territorio lombardo.

Qui negli anni della dominazione francese si diffusero le nuove idee d’oltralpe e insieme ad esse il pungolo dello spirito rivoluzionario e democratico: una parte della società varesina si aprì alle mille novità che si respiravano in Europa e anche il volto urbanistico continuò a mutare a seguito della costruzione di nuove   mirabili ville sorte al posto di monasteri e conventi e indizio di un nuovo gusto per il decoro borghese.

Questa età lasciò un’eredità importante   alla successiva Restaurazione: anche a   Varese, infatti, le esperienze vissute in età napoleonica non poterono essere facilmente cancellate nel 1814 quando, al crollo di Napoleone, gli Asburgo tornarono in Lombardia.

(vedi I. PEDERZANI ( a cura di) “La caduta del regno Italico (1814). Varese da Napoleone agli Asburgo”, Atti de convegno ( Varese il 6 dicembre 2014 )in corso di stampa).

Invano per cominciare i varesini chiedevano il ripristino di antichi privilegi amministrativi in cui vedevano la tutela di interessi locali contro le sperimentate minacce del centralismo statale:

“Varese conta settemila abitanti, con un estimo di circa duecentomila scudi” scriveva nel 1816 il podestà Giuseppe Piccinelli al Regio Imperial governo di Milano ricordando i più rilevanti eventi della sua storia civile ed ecclesiastica.

Riferendosi al borgo dell’ex-Stato di Milano egli aggiungeva:

“E’ posto in una graziosa valle felice pel clima, feconda di prodotti, fortunata nella loro qualità, e gloriosa per gli uomini che la resero celebre nella toga, nelle armi, nelle professioni e nelle arti liberali”. In quello stesso anno gli Asburgo elevavano il ricco borgo commerciale il rango di città.

Varese era ancora a quel tempo   una raffinata sede di villeggiatura come la ricordavano negli anni successivi sia il Castiglioni che l’Arrivabene e il Cantù ed era famosa per le sue dimore signorili vecchie e nuove: tra queste primeggiava in bellezza, subito fuori il perimetro dell’antico borgo delimitato dal corso del Vellone, il palazzo che era stato del duca d’Este, passato ai Serbelloni e poi alla contessa Cristina Trivulzio Archinti e da questa a Carlo Pellegrini Robbioni, che ne aveva adibito una parte a filanda senza modificarne il carattere di “incomparabile delizia di vedute”. In quegli anni la villeggiatura fu elemento determinante per caratterizzare tutto un ambiente culturale e politico dopo che già in età napoleonica gli incontri presso il caffè del Casino avevano favorito le letture e gli scambi di idee e di punti di vista.

Negli anni in questa deliziosa cittadina, luogo di svago e di caccia e autentica “villa di delizia”, la presenza di molti nobili milanesi contribuì a intensificare i legami con Milano e la diffusione delle idee liberal- patriottiche che potevano circolare qui attraverso i varchi lasciati aperti dalla censura.

In realtà, con l’elevazione di Varese al rango di città nel 1816 i nuovi dominatori speravano di inaugurare un periodo di collaborazione, che invece non ci fu.

Il processo di modernizzazione da essi avviato incontrò   l’opposizione del ceto dirigente locale che ingaggiò spesso una lotta ostinata   proprio in materia di spesa pubblica, strade, scuole e sanità.

( I. PEDERZANI, Varese” villa di delizia”. Governo cittadino e rinnovamento dagli Asburgo ai Savoia, in preparazione).

Oltre alla dominazione straniera, infatti, gli Asburgo rappresentavano anche il centro della restaurata monarchia amministrativa e il punto di riferimento di una progettualità statale vista dal ceto dirigente locale come una minaccia alla propria identità sociale: non estranea al moto patriottico e alla lotta antiaustriaca fu in parte anche il soffocamento prodotto a livello amministrativo da uno stato che non aveva rinunciato al centralismo e ai soffocanti controlli sull’andamento del governo locale.

Progressivamente di anno in anno fino al 1848 e poi ancora fino al 1859, andò maturando anche a Varese un sempre più vivo sentimento antiaustriaco.

( I. PEDERZANi, Dall’albero della libertà alla croce sabauda. Politica, società e salotti a Varese(1796-1859). Volti e vicende, Milano Franco Angeli -in pubblicazione ).

Ne valse a riconciliare gli animi dei varesini l’elevazione di Varese al rango di “città regia” nel 1857 ad opera degli Asburgo nel quadro della nuova politica di riconciliazione e di dialogo, inaugurata proprio quell’anno dalla visita di Francesco Giuseppe in Lombardia a scopo propagandistico.

Varese si preparava alla II guerra d’indipendenza.

*pubblicato originariamente su https://www.maurodellaportaraffo.com/

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