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Frontalieri: una sfida di troppo per le Pmi ticinesi

Scritto da  Emanuele Centonze

Se la Svizzera è riuscita a superare la recessione che ha caratterizzato il periodo 199096 e la stagnazione durata fino ad inizio degli anni 2000 lo si deve in parte agli accordi bilaterali e in particolare a quello della libera circolazione delle persone. Il laborioso sistema di contingentamento in vigore prima della firma dei bilaterali favoriva un’allocazione quantitativa e ugualitaria a scapito della qualità e ciò contribuì a limitare gli adattamenti strutturali inibendo la crescita economica. (KOF Der bilaterale Weg 2015)

Il benessere del Ticino dipende, ora più che mai dopo il ridimensionamento della bolla bancaria, dal successo delle Piccole Medie Imprese e di conseguenza anche dalle risorse umane che queste riescono ad ottenere dalla Lombardia. Il substrato indigeno non può supportare le iniziative imprenditoriali create in Ticino né a livello quantitativo né, sempre di più, a livello di qualifica, competenze e specializzazione: semplicemente non ci sono i numeri.

A fronte di un rischio minimo di diminuzione degli stipendi (statisticamente non provato), vi è la certezza che una limitazione dell’accesso alle risorse umane della Lombardia porti ad una diminuzione globale dell’occupazione in Ticino e ad una perdita di benessere (PIL) per la popolazione residente. Vi è un chiaro nesso tra accesso alle risorse umane frontaliere e occupazione in Ticino. La qualità delle risorse umane è la miglior garanzia per la prosperità economica del Cantone. Dobbiamo garantire alle imprese l’accesso al mercato del lavoro globale.

Il frontaliere è stato ed è fonte di benessere per il Ticino: senza l’accesso ai frontalieri molte iniziative imprenditoriali non sarebbero mai state realizzate e molte imprese estere, che sono ora un fiore all’occhiello della nostra economia, non avrebbero mai aperto in Ticino. Il trattamento fiscale attuale ha aumentato l’attrattività del Cantone anche per gli specialisti.

La campagna antifrontaliera con la quale siamo confrontati illude la popolazione che una limitazione porterà ad un aumento delle retribuzioni e del benessere. Chi mastica qualcosa di economia sa benissimo che il contrario è vero.

L’intesa fiscale SvizzeraItalia in discussione ci lascerà con un pugno di mosche in mano: da un lato il Cantone non incasserà molto di più e dall’altro la nostra attrattività per gli specialisti esteri diminuirà sensibilmente a seguito dell’assoggettamento degli stessi alla fiscalità italiana oltre che a quella svizzera. La limitazione dei frontalieri toccherà non solo il settore privato (farmaceutica, moda, edilizia, artigianato, trading di materie prime, ecc) ma anche i servizi dello stato come la sanità e la scuola, USI e SUPSI incluse. L’apparato burocratico chiamato a decidere l’attribuzione dei contingenti creerà costi supplementari e riaprirà il déjà vu del clientelismo. Non si vede bene sulla base di quali criteri la burocrazia statale possa decidere sull’attribuzione delle risorse umane ai singoli attori economici. Stiamo tagliando il ramo su cui siamo appollaiati, tanto per usare un logo UDC!

A livello nazionale la politica prende atto di quanto avviene in Ticino e opterà purtroppo per lasciare ad ogni Cantone la facoltà di agire di proprio gusto. Ci sono Cantoni importanti come Basilea per i quali i frontalieri sono vitali e di conseguenza nel contesto dell’inevitabile implementazione dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa li si vuole tutelare ad ogni costo con tanto di “benedizione” degli iniziativisti già ampliamente segnalata. Nessuno farà qualcosa per avvertire i ticinesi che si stanno sbagliando alla grande.

Sarà il mercato a sanzionare questo comportamento ma allora potrebbe essere tardi per rimediare. Gli imprenditori ticinesi hanno dimostrato di sapersi affermare anche fuori casa, ma attualmente una parte dei politici stanno facendo troppi esperimenti giocando alla “black box” senza avere un’idea di quali potrebbero essere le ricadute economiche delle manipolazioni che stanno progettando.

La limitazione dei frontalieri e dell’accesso generale alle risorse umane estere causerà grosse difficoltà alle aziende in tutta la Svizzera, e ha già portato e porterà sempre di più ad uno stop agli investimenti e alla perdita di posti di lavoro anche per i residenti. I frontalieri possono rappresentare in questo contesto una valvola di sicurezza in quanto è provato che non si sostituiscono alle risorse umane locali; il loro impiego è sinergico. In Ticino dobbiamo avere presente che il Canton Grigioni vedrebbe di buon occhio più insediamenti nel Moesano che dispone di ampi spazi industriali. Sarà ben difficile limitare ai frontalieri diretti a Grono l’accesso all’autostrada.

Le PMI sono confrontate con non poche sfide esistenziali. Quelle poste dalla concorrenza europea (nel nostro caso italiana) più che mai competitiva grazie al nuovo tasso di cambio, sono inevitabili: ormai i clienti svizzeri siano questi consumatori che industrie chiedono prezzi europei come se i costi della nostra manodopera e delle infrastrutture fossero gli stessi.

Da un punto di vista dei costi il 15 gennaio ci ha catapultato in Europa. Non passa settimana senza che vengano chiuse in Svizzera unità produttive!

A livello amministrativo sia a Berna che a Bellinzona le iniziative intavolate non possono che penalizzare le PMI aumentando la concentrazione industriale a favore dei grandi gruppi multinazionali. Le multinazionali sono in grado di fare fronte alla crescente complessità meglio delle PMI: è una questione di risorse e di costi.

Ci sarà un futuro per le PMI in Svizzera se non riusciremo a porre un freno al proliferare di leggi regolamenti e direttive non più gestibili dalle PMI? Il peso del “regulatory” è divenuto asfissiante e le proposte in parlamento sono inquietanti (p.es. controprogetto all’iniziativa “Grüne Wirtschaft”). A livello ticinese non siamo da meno: imposta sui posteggi e loro limitazione, trattamento fiscale dei frontalieri, ecc. Da un semplice problema di infrastruttura (autostrade da allargare e trasporti pubblici da sviluppare) siamo riusciti a creare un’ondata xenofoba. Ulteriori difficoltà per le PMI mettono a rischio il benessere raggiunto. È come se di punto in bianco si volesse vivere di rendita avendo a disposizione un patrimonio inadeguato per di più investito in borsa. Non si sa bene dove il Ticino potrà trovare il tesoretto per finanziare questo approccio.

Lo stato deve darsi una rotta chiara e sviluppare una dottrina coesa se vuole che il successo economico del Cantone continui anche in futuro. Stiamo facendo troppi esperimenti in parallelo (limitazione dei frontalieri, assoggettamento dei frontalieri anche al fisco italiano, imposta sui posteggi, spesa pubblica fuori controllo, regulatory asfissiante) senza avere sviluppato gli scenari delle loro conseguenze. In primo luogo lo stato deve riuscire a controllare lo sviluppo della spesa pubblica: a San Gallo in un paio d’anni il Cantone è riuscito a risparmiare 200 Milioni rinunciando ad introdurre un’imposta sui posteggi (come si vuole invece introdurre in Ticino). È preoccupante, il fatto che il Ticino faccia meglio di tutti i Cantoni (eccezione Friborgo) a livello di sviluppo della burocrazia (IRE studio sul mercato del lavoro pag 30 e seg.)!

*Dr. Emanuele Centonze, CEO – ECSA Group - Balerna (TI) – www.ecsa.ch

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