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Lingua lombarda: la bosinada. Una definizione

Scritto da  Giovanni Fichera

La bosinada è componimento poetico in dialetto, inteso a commentare un fatto lieto, o triste, della vita quotidiana. Cronaca in versi, potremmo dirla; cronaca del Sei del Sette e dell'Ottocento milanesi; poiché nel Sei nel Sette e nell'Ottocento ebbe sviluppo notevole, anzi glorioso, per mezzo dei poeti che le si dedicarono. Carattere precipuo della bosinada è la flagrante umanità del suo contenuto, cui aggiunge pregio la immediatezza delle sue conclusioni. Vi si indicano luoghi, persone e circostanze di comune conoscenza con aggettivi e appellativi e sentenze che suscitano il pianto o il riso dell'uditorio e il commento. Essa è l'espressione del buon senso popolare, che osserva i fatti del giorno e reagisce alle aberrazioni sociali, da qualunque parte provengano.

La sua natura è squisitamente etnica, poiché deriva dal popolo, e s'indirizza al popolo, del quale interpreta, o previene, i desideri più riposti, e sottolinea i difetti, le manchevolezze con lo immancabile intento ammaestrativo. (Ripetiamo che mediante l'espressione " deriva dal popolo " non si intende alludere a quella creazione collettiva dei popolo-poeta di cui favoleggiò per molto tempo, il falso immaginare dei romantici e contro la quale attività giammai esistita perché impossibile, più volte parlammo).

Altra caratteristica della bosinada è la sua pubblicità corale; perciò il suo ambiente preferito era la piazza o il rione suburbano, donde pontificavano i loro autori, gl'incaricati dei loro autori, attirando e interessando il pubblico nei modi più svariati e con gli accorgimenti dei saltimbanchi e dei giocolieri, e talvolta cori preludi e commenti musicali, declamando o recitando i loro versi, colorandoli con la mimica e la truccatura, come fanno gli attori. E mimo può definirsi anche la bosinada, rappresentazione popolare all'aperto, o teatro, poiché del teatro possiede tutte le caratteristiche; e ben può dirsi una continuazione dei contrasti popolari, e delle sacre e profane rappresentazioni, e dei canti carnascialeschi e bacchici, che dai mimi antichi ripetono i mezzi, gli intenti, e vorrei pur dire gli argomenti; continuazione delle carnevalate e delle carrettate siciliane; delle zirudele marchigiane ed emiliane e romagnole; e in certo qual modo delle tarantelle...

Francesco Cherubini, nel sito celebre e raro Vocabolario Milanese-Italiano (Milano, 1839), alla voce "Bosinada", così si esprime: "Composizione in versi vernacoli milanesi, la quale per lo più viene recitata e gridata per città dai così detti Bosin. E' grandissimo il numero di queste Bosinade; nella Ambrosiana n'esiste una decina di volumetti in più(1). La maggior parte sono scritte male; ma non pertanto s'hanno il pregio così di diffondere la buona morale tra 'l popolo come di far vivo ritratto delle mutazioni elle d'età in età va sopportando il dialetto, e di conservare memoria delle costumanze e degli aneddoti del paese. Il nostro popolo però suol chiamare Bosinada anche oggi altra scrittura in dialetto milanese e specialmente ogni poesia vernacola, ma dai bei versi del Balestrieri e del Tanzi, dalle inimitabili poesie del Maggi e dei Porta e dalle bellissime del Grossi e del Rajberti a questa specie di vere Bosinade vi corre quella diversità che ognun vede".

Alla voce " Bosin ", lo stesso Cherubini ha detto: " Così chiamansi fra noi quegli uomini che vanno per la città cantando o recitando quelle composizioni che son dette Bosinade. Anche ai nostri poeti scrivendo in linguaggio vernacolo è piaciuto di assumere il titolo di Bosin ".

Infatti per modestia molti poeti milanesi colti, chiamano Bosinade le loro composizioni, anche se queste non abbiano nulla in comune con il caratteristico, genere di cui ci stiamo occupando; perciò nessuna delle bosinade di costoro è stata inclusa nel presente volume. La verità è che nell'uso comune attuale, la parola " bosinada " ha assunto il significato giocoso di poesia di scarso valore.

Altre definizioni delle bosinade ci hanno lasciato Bernardino Biondelli, Cusani Confalonieri, Giovanni De Castro, il Prof. Angelo Maria Pizzigalli.

Definisce Bernardino Biondelli le bosinade "quei componimenti poetici d'occasione, sovente satirici, in ogni metro e stile, che distinguono la poesia vernacola lombarda, e dei quali immenso è il numero e per lo più oscuro l'autore. Una raccolta di queste poesie, massime appartenenti ai tempi moderni, fatta per cura del benemerito Francesco Bellati, serbasi ordinata in nove volumi della Biblioteca Ambrosiana (1), e sarebbe di gran lunga maggiore, ove alcuno, prima di lui, avesse impreso di farne collezione. Di tante produzioni però, ben poche meritano ricordanza, non solo pei loro frivoli argomenti, ma soprattutto per l'assoluta nullità. La sola importanza loro consiste nel documentare la storia patria, nonché lo spirito dei tempi e le fasi che il dialetto milanese ebbe successivamente a subire; sebbene eziandio a tal uso il maggior numero non valga, o per una mancanza di data, o per l'imperizia dell'autore, e per troppa esiguità " (2).

Con tutto il rispetto verso il paziente e benemerito studioso, sento il bisogno di affermare che la frivolezza e l'assoluta nullità da lui rilevate nel maggior numero dei componimenti in parola, sono una sua ingiusta e perciò inaccettabile esagerazione. Tant'è vero che egli stesso, dopo avere espresso in termini perentori e sbrigativi la condanna, ha soggiunto " che la sola importanza loro consiste ne1 documentare la storia patria, non che lo spirito dei tempi, etc. "; la qual cosa va a tutta lode delle bosinade e dei loro autori. La storia patria e lo spirito dei tempi è titolo di altissimo onore, ché va ricordato e illustrato con affettuosa attenzione.

Interessante e degna di ricordo è L'origine delle bosinade così come è ricostruita dallo stesso Biondelli, nell'opera citata:

" I primi poeti milanesi imitarono le rozze favelle delle vallate di Blenio e d'Intra; o si nascosero sotto le spoglie del Bosin, nome generale e comune tutt'ora ai villici dell'Alto Milanese; onde furono poi dette Bosinade le innumerevoli poesie liriche di occasione composte nei dialetti lombardi.

"Da principio i poeti milanesi adottarono il dialetto della valle di Blenio,i cui abitanti solevano recarsi in frotte, annualmente alla capitale lombarda, per esercirvi il mestiere di facchini, e, sul modello dell'Arcadia, i cui membri assumevano spoglie pastorali coi nomi di Titiro e Melibeo, fondarono l'Accademia della valle, di Blenio, nella quale, cori le mentite spoglie di facchini, tentarono nobilitare coi poetici numeri la lingua, i costumi ed i rozzi concetti di quella povera gente.

" L'origine e gli statuti di questa frivola Accademia furono pubblicati nei Rabisch dra Academiglia dor Conmpà Zavargna, ove sono racchiuse molte poesie facchinesche di Gian Paolo Lomazzo, autore di questo libro e principe dell'Academia, nonché vari componimenti di altri zelanti academici. Tra questi emersero Bernardo Baldini, Lorenzo Toscano, Bernardo Rainoldi, Gio Battista Visconti, Giacomo Tassano e Lodovico Gandini, dei quali sopravvivono appena alcune poesie volanti.

" In quel tempo di decadenza, la moda avea diffuso in Italia il barbaro gusto per le lingue fittizie ionadattica e furbesca (1), e in Lombardia tenne per breve tempo il loro posto quella della valle di Blenio. Poco dopo, vale a dite in sul principio del secolo XVII, vi fu, sostituito il dialetto della valle Intrasca, noti meno strano dei primo, e proprio parimenti, d'una parte dei facchini della capitale nativi di quella valle.

" Venne quindi fondata " La gran Badie doi facquin dol lag Mèjo ", e in essa i poeti lombardi, serbando sempre la maschera facchinesca, illustrarono questo nuovo dialetto montano con molti componimenti poetici, che sfoggiarono per lo più in sontuose mascherate carnascialesche, in almanacchi, ed in opuscoli d'occasione, dei quali serbasi una ragguardevole raccolta nella biblioteca Ambrosiana.

 

(1) L'affermazione, purtroppo, da quando Milano fu bombardata non risponde al vero.

(2) BERNARDINO BIONDELLI, Saggio sui dialetti gallo-ítalici, Milano, 1853, presso Gius. Ber nardoni di Gio., p. 89.

*Estratto dal Testo di Giovanni Fichera “Mimi popolari lombardi”

Fonte: www.canzon.milan.it

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