Claudio for Expo

ICH Sicav

 

I candidati sindaco in Lombardia tra civismo e politica

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Tra gli argomenti più dibattuti in questa prima parte della campagna elettorale per le amministrative in Lombardia trova sicuramente spazio la diatriba trasversale su chi sia il candidato più civico degli altri. Ma in realtà il problema è un altro. Il ragionamento parte dall’assunto che il partito in quanto tale e a qualunque schieramento appartenga, oggi finisca per rappresentare un limite, una palla al piede e non un plus in grado di fare la differenza in termini elettorali. Per i soliti motivi facilmente immaginabili, perché la politica è screditata, perché non c’è stato un ricambio generazionale, perchè la questione morale è irrisolta, per non parlare del merito che è declinato solo sulla carta e non nei fatti. Meglio pescare all’esterno, nella società civile come si suol dire, nel mondo delle professioni, dell’impresa, della cultura, delle università. Se il prescelto ha effettivamente qualità e potenzialità, ha progetti ed idee chiare, difficilmente recita il copione dell’utile idiota in cerca di una sinecura, non capita quasi mai e, se dovesse riscontrarsi una qualsivoglia forma di manipolazione, arriva a stretto giro il rifiuto a candidarsi. E gli esempi in tal senso si sprecano. Di solito, al di là di un comprensibile periodo di rodaggio, il candidato sindaco acquista invece una centralità nella partita elettorale sulla quale costruisce il proprio valore aggiunto e quindi l’eventuale successo anche personale. Ma senza dimenticare i partiti e la stessa politica politicante necessaria per sopravvivere in quel contesto. Quello che è stato messo alla porta, rientra di soppiatto dalla finestra. E garantisce non poco, come capacità manovriere, organizzazione, lobbying, strutture, competenze. Chi non capisce questa logica sparisce, come di solito spariscono i civici tout court, animati da grande passione e forza di volontà, ma alla fine incapaci di raccogliere percentuali consistenti e tanto meno decisive tali da non potersi nemmeno spendere in alleanze al secondo turno. A Milano come a Varese si ragionerà con questa logica e la partita la si giocherà tenendo d’occhio il quadro politico non solo locale, ma anche regionale, nazionale. A Milano Stefano Parisi e Giuseppe Sala rientrano in questo stereotipo, due manager che non hanno mai fatto politica e che proveranno ad essere determinanti per i rispettivi schieramenti. Con una differenza. Sala ha fatto le primarie, ha messo in piedi una propria organizzazione, un movimento a suo nome, Parisi invece è uscito dalla decisione del sinedrio dei partiti del centrodestra. Il primo in teoria sembrerebbe avvantaggiato, ma a leggere gli ultimi sondaggi tale vantaggio di immagine più che di sostanza è già un ricordo. Intanto per come sono andate le primarie stesse, non si è recato a votare nessuno al di fuori del perimetro dei militanti del Pd e delle immancabili truppe cammellate al seguito. E l’elettore lo ha capito. Parisi ha di contro guadagnato di suo vestendo immediatamente i panni del politico, dichiarandolo, abbracciando tutti i partiti della coalizione, facendosi vedere fisicamente con loro. Poteva sembrare una mossa avventata, sicuramente rischiosa, in realtà ha prodotto un risultato inatteso, il centrodestra ha trovato d’incanto un leader sulla piazza, quello che mancava per suonare la carica, serrare i ranghi e partire per la battaglia. E non è detto che queste elezioni non siano altro che un trampolino per traguardi ulteriori visto lo spessore e la determinazione del soggetto. Lo immagina sicuramente Silvio Berlusconi, ormai ottuagenario e quindi costretto a passare la mano prima o poi, ma anche tanti altri spezzoni del centrodestra in cerca d’autore da troppo tempo. La partita sarà da giocarsi a quel punto con la Lega, una resa dei conti magari, a tempo debito, ma se vinci a Milano metti una seria ipoteca sul futuro tuo e del centrodestra. Facendo contenta innanzitutto Forza Italia che dalla quasi estinzione rientra in gioco. Lo sa bene anche Matteo Salvini, ma ora può solo abbozzare. D’altra parte la Lega non può permettersi di andare alle politiche con il centro dissolto, meglio rilanciarlo. Anche se costerà qualcosa. Sia Sala sia Parisi costituiranno una lista civica del sindaco. Uno strumento utilissimo, strumentale, da non sottovalutare, da gestire con cura. Non deve diventare un ricettacolo di politici mascherati da civici, perché i veri civici a quel punto spariscono e l’elettore non abbocca. C’è pure la concorrenza esterna a stimolare un ragionamento trasparente su queste liste. Nicolò Mardegan e Corrado Passera a destra e la lista a sinistra di Sala per il Pd, per non parlare delle civiche vere e proprie. Se faccio una copia sbiadita o taroccata dell’originale, l’elettore vota l’originale. Una situazione con molte similitudini la si vivrà anche a Varese dove i candidati delle principali coalizioni Davide Galimberti a sinistra e Paolo Orrigoni a destra saranno alle prese anche loro con la lista civica del sindaco. A Varese però è avvantaggiato Orrigoni, perché veramente pescato all’esterno dell’alveo politico, mentre Galimberti è una emanazione del Pd. Anche qui occorrerà accortezza nel costruire queste liste, se saranno infiltrate da politici in cerca di visibilità, il tentativo abortirà per la fuga degli altri candidati e per il facile conseguente rifiuto degli elettori che capiscono al volo la mistificazione. Insomma, non deve diventare una commedia pirandelliana, pena la sconfitta sicura.

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