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Stefano Parisi: un sindaco per fare, non per sperimentare

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Stefano Parisi, “piccoletto e segaligno, è furbissimo”, diceva di lui il giornalista Stefano Livadiotti. Ma anche molto abile, aggiungo io. Poco appariscente nell'immagine, fedele ad un understatement forse studiato, ma efficace, l’ho incrociato casualmente a Milano un paio di volte in questo mese di febbraio, elegante, non formale, dall’aria iperimpegnata, ma disponibile allo scambio di battute. Per non parlare della concretezza nel dire e sostenere punti di vista, tipicamente da uomo del fare. Una scelta a mio avviso umanamente azzeccata, pensando soprattutto agli avversari. Dal cilindro berlusconiano non poteva saltare fuori una scelta migliore. Ha ufficializzato lunedi di questa settimana la candidatura per la corsa a sindaco di Milano in quota centrodestra all’hotel Marriott di via Washington, un luogo simbolo, una sorta di passaggio obbligato per il centrodestra meneghino. Un tornante impegnativo questa volta, sul lato politico, c’era appunto tutto il parterre del Ncd, da Formigoni a Lupi e soprattutto Alfano. Apriti cielo! Chissà le proteste della Lega! Poteva disintegrarsi il manager candidato, ma il nostro è furbissimo, va bene parlare con la gente, ma alla fine sono i partiti che muovono le truppe, meglio chiarirsi subito e con la Lega distratta dal caso Rizzi, quale occasione o tempistica migliore si potrà mai presentare per imbarcare i centristi? E poi ormai lo sanno tutti, Ncd non sfiducerà Maroni in Regione (si voterà a marzo, con la mozione già annunciata delle opposizioni) e in cambio Salvini non si opporrà appunto alla presenza del partito centrista e del suo leader nazionale Alfano, nelle amministrative milanesi. Insomma da una parte le ragioni della politica politicante e dall’altra un candidato più realista del re. E pazienza se qualcuno mugugna, tanto alla fine la base dove volete che vada, si adeguerà e voterà senza fiatare. Come è sempre successo, d’altronde. Ma è soltanto l’ultimo capitolo di un miracolo, ovvero la storia del rapido ricompattamento della coalizione del centrodestra avvenuto d’incanto dopo le primarie del Pd, operazione che negli ultimi mesi o anni, si era rivelata improba e foriera di una più che probabile disfatta elettorale alle amministrative. Girano anche sondaggi riservati molto positivi, sia sulla qualità e gradimento del personaggio presso la popolazione milanese, sia elettorali. Ma qual è il segreto di questo manager-imprenditore di quasi sessant’anni? L’esperienza tra pubblico e privato ai massimi livelli sicuramente, un curriculum ineccepibile e soprattutto inattaccabile da parte di un candidato all’apparenza gemello come Giuseppe Sala. Sono stati entrambi city manager e le analogie finiscono lì. Parisi è un manager che ha fatto, soprattutto, l’imprenditore, ha lavorato con le imprese, ha rischiato in proprio, ha innovato. Come nella ultima esperienza di Chili Tv. Sala è sempre e solo stato un manager, ha amministrato soldi altrui, con ottimi risultati, ma come sembra ormai chiaro nel caso di expo, spendendo anche troppo. Sala è un tecnocrate, Parisi ha in mente invece un progetto liberale e dopo il quinquennio di Pisapia è quanto di meglio un elettore del centrodestra vuole ascoltare: contenere il perimetro della Pubblica Amministrazione, tagliare i costi, coinvolgere le risorse private, aumentare l’efficienza, ridurre le tasse. Ma la concretezza lungimirante del candidato si è spinta oltre, dimostrando sensibilità e idee per i problemi-emergenza di Milano e delle periferie e particolarmente sentiti e cari al seguito leghista: immigrazione clandestina, campi rom, criminalità. Che sono poi i veri talloni d'Achille della Sinistra.

Piace di Parisi quell’aria da milanese acquisito che ha fatto fortuna nella capitale della Lombardia ed ora è riconoscente. Una riconoscenza che si declina nell’impegno sociale più importante e gravoso che è quello politico. Una visione ambiziosa, una missione epocale, progetti concreti e fattibili per riuscire e soprattutto una cultura per realizzare questi obiettivi e renderli raggiungibili. Proprio come fosse un piano industriale di un buon imprenditore, ma con una importante postilla: “non sono più un tecnico, da oggi sono un politico”. Per fare, non per sperimentare.

*Foto condivisa da Bruno Dapei che ringrazio.

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