Schiavità, segregazione, prostituzione, tutti fenomeni di un sistema culturale in cui le donne continuano ad essere vittime indifese e a morire. Protagonisti italiani della vicenda, insieme a Baby Ruth, sono la tenutaria di un bordello alla quale compete l’avviamento didattico al mestiere più vecchio del mondo, e uomini che svolgono funzioni importanti al livello sociale e civile; il presidente di una associazione, un senatore, un avvocato, un magistrato. Tutti coinvolti e promotori di un meccanismo consolidato che si perpetua a danno delle ragazze africane.
La storia di Ruth è un terribile, e insieme poetico, documentario rappresentato con un doppio orizzonte, quello della deportazione e segregazione conosciuta in Italia, e quello degli affetti e dei panorami africani al cui ricordo la giovanissima si aggrappa per trovare la forza di sopravvivere. Amilca l’ha scritta in italiano, di getto, riversando direttamente sulla pagina pensieri ed emozioni con un linguaggio a volte sognante a volte crudo; dice: “In realtà al suo arrivo in Italia scopre un mondo senza orizzonti, senza futuro, senza trovare un solo essere umano che l’aiuti. Ho voluto dare voce a tutte le ragazze che non hanno voce, scrivere la sua storia perchè se nessuno vede e nessuno denuncia è come se Baby Ruth fosse invisibile. Eppure sono milioni le ragazze africane che ogni giorno subiscono come lei questa violenza”. “Non bisogna giudicare dal colore della pelle, e la gravità della violenza non cambia se uno è bianco o nero.” Il messaggio di Amilca Ismael è quasi sorprendente nella sua attualità, anche se questi temi sono balzati alla ribatta delle battaglie per i diritti civili già cinquant’anni fa.
La dedica del libro a Laura Prati, subito accolta dai familiari e dall’Associazione fondata in suo nome presieduta dalla Senatrice Erica D’Adda, rappresenta la volontà di parlare, diffondere, e impedire che questo succeda ancora: tramite l’associazione è possibile presentare il libro (edito da Youcanprint) nelle scuole. Dice Erica D’Adda: “Anche la legge deve essere agganciata al cambiamento culturale. Bisognerebbe rendere più trasparente la tracciabilità del viaggio che compiono queste ragazze che spesso inizia quando sono minorenni e vi è una chiara responsabilità attribuibile alle persone che se ne fanno carico. Quando arrivano qui le ragazze “scompaiono”, per questo è anche molto importante promuovere la solidarietà e l’aiuto tramite persone e gruppi che possono aiutarle a sottrarsi al loro destino”.